Francesco Messina: una storia

Francesco Messina ha avuto una vita molto lunga: dopo un inizio travagliato, ha conosciuto grandi successi e momenti difficili che lo stesso scultore ha raccontato nella sua autobiografia Poveri giorni, pubblicata nel 1974.

Conosciamo meglio la sua storia, in quattro punti.

 

L'infanzia e l'adolescenza: avvio di una carriera

Francesco Messina nasce il 15 dicembre del 1900 a Linguaglossa, un piccolo paese alle pendici dell’Etna, da Angelo Messina e Ignazia Cristaldi. La sua famiglia è molto umile: per scappare dalla povertà, nel 1901, i suoi genitori decidono di emigrare in America. Raggiunta Genova, la famiglia Messina non si imbarca perché troppo povera per permettersi il viaggio e si stabilisce in vico Fosse Del Colle, nel cuore di una delle zone più popolari della città, dove il futuro artista trascorre un'infanzia solitaria fra le vie strette, le banchine del porto e gli scogli.

Presto si sente attratto dalla scultura: di giorno Messina lavora nelle botteghe dei marmorai, dove viene avviato al mestiere; di sera frequenta le lezioni per completare le scuole elementari e corsi di disegno.

Nelle botteghe dei marmorai che gravitano attorno al Cimitero di Staglieno, Messina prende coscienza dei materiali della scultura (soprattutto marmo e bronzo) e impara le tecniche di lavorazione: il rapporto con la materia e la conoscenza delle tecniche tradizionali della scultura saranno imprescindibili punti di partenza e di riferimento del suo fare artistico.

Il primo dopoguerra: il successo, il trasferimento a Milano e la cattedra a Brera

Dopo aver combattuto nella Prima guerra mondiale rientra a Genova, frequenta i corsi dell’Accademia Ligustica di Belle Arti e stringe rapporti con vari scrittori e intellettuali, fra cui Eugenio Montale, che lo inizia alla poesia, e Salvatore Quasimodo.

Nel 1921 espone alla I Biennale di Napoli e dal 1922 inizia a partecipare a quella di Venezia, dove è presente in tutte le edizioni fino al 1942, anno in cui si aggiudica il Primo Premio, e dove conosce artisti come Carlo Carrà e Adolfo Wildt.

Nel 1922 conosce Bianca Fochessati Clerici, donna benestante già sposata e con una figlia, che diventerà sua moglie solo nel 1943. Uno dei pochi amici della coppia è Montale: insieme a lui Messina compie uno dei suoi primi viaggi di istruzione artistica visitando le principali città toscane.

Nel 1926 espone per la prima volta a Milano, alla mostra del Novecento Italiano, dove presenta un suo Autoritratto e conosce il collega Arturo Martini, amico e rivale. Nel 1929 tiene sempre a Milano la sua prima personale presentata da Carlo Carrà e comincia a esporre sempre più frequentemente anche all’estero.

A trentadue anni si trasferisce nel capoluogo lombardo, che già frequentava per le iniziative culturali e le fonderie, dove entra in contatto con esponenti della cultura, come Alfonso Gatto e Giorgio Morandi. In questo periodo intraprende viaggi di studio nei maggiori musei europei e in Grecia, dove entra in diretto contatto con la grande statuaria classica. In queste occasioni, Messina ha modo di vedere, e spesso toccare con mano, le opere dell’antichità classica da cui trarre insegnamento e che per lui rappresentano la perfezione a cui l'artista deve tendere.

L'interesse per l'antico e il bisogno di un contatto diretto con le opere del passato si concretizzano anche nella creazione di una piccola collezione archeologica, costituita da una settantina di pezzi di produzione greca, romana ed etrusca, e da manufatti di origine egizia, cinese e mesoamericana. L'artista la terrà esposta nel salotto della sua casa milanese, con l’intenzione di donarla poi a Milano, sua città d’adozione. Il nucleo più consistente della raccolta è formato da statuette in terracotta di produzione greca e magnogreca, che raffigurano cavallini, immagini femminili panneggiate, nudi – tutti soggetti cari all’artista e che conservano ancora in alcuni casi tracce di colori vivaci.

La policromia, tipica dell'arte classica, si ritrova in molte opere di Messina, che riserverà grande attenzione al colore nelle sue sculture in terracotta, gesso e bronzo.

La sua riflessione sull'arte classica e sulla tradizione si intreccia a continue sperimentazioni e a una ricerca aperta agli stimoli del suo tempo.

Alla fine degli anni Venti diventa artista di fama nazionale, e diventa uno dei maggiori rappresentanti dell’arte italiana.

Nel 1934 ottiene per concorso la cattedra di scultura all’Accademia di Brera come successore di Adolfo Wildt; due anni dopo viene inoltre nominato direttore di tutte le scuole d’arte dell’Accademia.

Il secondo dopoguerra: uno scultore popolare

A causa della sua vicinanza al regime fascista, evidente nelle commissioni e nei numerosi ritratti dei massimi esponenti del governo che esegue durante il Ventennio, alla fine della Seconda guerra mondiale viene allontanato dall’insegnamento. Già nel 1947, però, riottiene la cattedra a Brera, anche grazie all’intervento di alcuni amici antifascisti, fra cui Renato Guttuso e Sirio Musso.

Nello stesso anno ottiene riconoscimenti internazionali di critica e pubblico, esponendo a Buenos Aires, su incoraggiamento dell’amico Lucio Fontana, e a Philadelphia.

Negli anni Cinquanta lo scultore è molto impegnato in esposizioni in Italia e all’estero ed è richiestissimo tanto per opere pubbliche e monumentali, quanto per opere private.

Fra le sue opere pubbliche più famose, realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, i busti di Giacomo Puccini e Pietro Mascagni per il Teatro alla Scala, il Monumento a Santa Caterina a Castel Sant’Angelo, il Monumento a Pio XII per la Basilica di San Pietro, il Cavallo morente per la RAI, che lo rende famoso al grande pubblico.

Diventano frequenti anche le interviste e le apparizioni pubbliche, in cui viene elogiata la sua abilità di disegnatore, scultore, pittore e anche di poeta.

Anche in questi anni porta avanti la sua ricerca figurativa e di derivazione classica, che incontra consensi ma anche resistenze e opposizioni. Messina resta fedele a questa scelta verso la tradizione e il realismo anche quando colleghi e amici imboccano strade diverse.

Con queste premesse, lo scultore affronta i temi che interessano maggiormente la sua ricerca artistica: il ritratto; la rappresentazione del corpo e del movimento; il gusto per il frammento, tipico del Novecento, ma che per Messina è anche un richiamo archeologico alle rovine, utile a esprimere la caducità delle cose.

Il suo processo creativo parte dallo studio dal vero, dal disegno, cui segue il modello in terracotta da tradurre, cioè realizzare, in bronzo o in marmo.

Gli ultimi anni: la pensione e la nascita dello Studio Museo

All'inizio degli anni Settanta, dopo la pensione, Francesco Messina stabilisce il suo studio nella ex chiesa di San Sisto, concessagli dal Comune in cambio di un completo restauro dell’edificio. In questo spazio Messina realizza non solo il suo nuovo laboratorio, ma anche il suo museo monografico, grazie soprattutto a una selezione di opere donate alla Città di Milano e che costituisce il primo nucleo della collezione dello Studio Museo.

Contemporaneamente, Messina sceglie di donare alcune sue opere a importanti musei italiani, come il Museo Nazionale del Bargello a Firenze, e stranieri, come la Galleria di Arte Moderna di Monaco di Baviera, il Museo Pushkin di Mosca e l’Ermitage di San Pietroburgo.

Nel 1994 riceve il Premio alla Scultura da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Si spegne il 13 settembre 1995 a Milano, città che lo aveva accolto e ospitato per buona parte della vita e che gli aveva conferito anni prima la cittadinanza onoraria.

La Presidenza della Repubblica gli conferisce, postumo, il Premio alla Cultura.