Incontri e ricordi – Arturo Martini - Studio Museo Francesco Messina
Incontri e ricordi – Arturo Martini
Gli artisti si muovono in una rete di relazioni personali e professionali, capaci di influenzarne anche la ricerca e le opere.
A chiudere la sua autobiografia “Poveri giorni”, edita nel 1974, Francesco Messina inserisce dei brevi racconti dedicati ad alcune figure del mondo dell’arte – scultori, pittori, poeti – con cui aveva intrecciato amicizie sincere, rapporti artistici e collaborazioni: “Incontri e ricordi”.
Approfondiamo insieme questi incontri, iniziando dal sodalizio con Arturo Martini.
“Nella primavera del ’26, alla prima mostra del “Novecento” nel Palazzo della Permanente a Milano, conobbi Arturo Martini.
Di lui mi erano note le avventure artistiche e, attraverso racconti e aneddoti, già mi era familiare il suo estroso carattere di veneto superdotato di fantasia, ingegno e coraggio.
L’incontro fece corto circuito, e l’amicizia divampò, specialmente da parte mia. Avevo trovato un maestro, il primo della mia vita di artista, un maestro affascinante, ma infantile e maldestro nella sua epopea di “genio” autoproclamato a tutti i venti.”
Arturo Martini (1889-1947) è stato uno dei grandi scultori italiani del Novecento, capace di inventare composizioni e narrazioni originali e di rinnovare profondamente, con il suo lavoro, la scultura, sperimentandone le tecniche e i materiali e confrontandosi in modo aperto sia con la tradizione sia con la contemporaneità.
Di origine trevigiana, Martini ha vissuto a Roma, nel Ponente ligure e a Venezia.
A Milano è stato attivo dal 1933 al 1942: nella città lombarda ha tenuto per anni uno studio, esposto nelle gallerie, organizzato la sua prima mostra personale e ha potuto contare su un gruppo di collezionisti appassionati.
Dell’amicizia con il più giovane Francesco Messina, interrotta con l’ottenimento, da parte di Messina, della cattedra di scultura a Brera nel 1934, rimangono alcune lettere scritte nella seconda metà degli anni Venti del Novecento, a lungo rimaste in cui cassetto nella casa di Messina.
“Avevamo progettato di andare a stabilirci a Parigi, per tentare la grande avventura. Egli partì per primo e io avrei dovuto raggiungerlo. Ma ecco cosa mi scrisse: “La scoltura a Parigi non va, fino a crederla un ingombro.” […]
L’esperienza parigina di Martini durò poco più di un mese. Tornò in Italia dove la ruota della fortuna girò tanto in suo favore da stordirlo. La battaglia gli sembrò vinta, ma altre ansie lo tormentavano. Voleva a tutti i costi scoprire la quarta dimensione. Proclamò la scultura lingua morta.
La guerra lo trasferì a Venezia. L’esaltazione continuava. Solo la morte lo placò. Fu nel 1947, all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, dove, in pianto, ci trovammo subito attorno a lui, Marini, Manzù e io. Le tre superstiti M della scultura italiana di quel tempo.”